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L’assorbimento della farina: come si calcola e da cosa dipende

Approfondimenti
Farinografo

In questo articolo trovi la guida approfondita al farinografo di Brabender, il macchinario fondamentale per misurare l’assorbimento delle farine.

Con il nostro precedente articolo incentrato sull’alveografo di Chopin ed il W delle farine, abbiamo intrapreso un nuovo viaggio alla scoperta di uno dei reparti più interessanti del molino: il laboratorio di analisi.

Proprio Lo studio del significato fisico del W di una farina e del metodo di lavoro che caratterizza la prova dell’alveografo di Chopin ci ha dato lo spunto per scrivere questo nuovo articolo. Infatti, avevamo sottolineato come non fosse possibile correlare il W alla capacità di assorbimento di una farina, né all’attitudine di quest’ultima a resistere a brevi od a lunghe lievitazioni. Potremmo riassumere questi due aspetti in un unico concetto, che chiameremo “tenuta dell’impasto”, dipendente essenzialmente dalla quantità e dalla qualità del glutine presente nel grano tenero dal quale è stata ottenuta la farina.

Questi importanti aspetti pratici vengono approfonditi dal un’altra macchina del laboratorio: il farinografo di Brabender. In questo articolo lo descriviamo, ne analizziamo il funzionamento e forniamo le linee guida per la corretta interpretazione dei risultati analitici che ci consente di ottenere. Buona lettura!

 

La storia del farinografo di Brabender

Il farinografo di Brabender ha in comune con l’alveografo di Chopin il periodo storico in cui è stato concepito, ossia gli anni ‘20 del secolo scorso. Questa contemporaneità non è casuale, infatti, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, nel corso del XIX secolo sia l’industria molitoria sia le tecniche di indagine dei materiali hanno conosciuto conobbero importanti evoluzioni tanto da portare allo sviluppo di una nuova scienza, la reologia, le cui conoscenze sono state furono applicate allo studio delle proprietà visco-elastiche degli impasti.

In questo panorama, nel 1923 Carlo Wilhelm Brabender iniziò a sviluppare e costruire strumenti di misura per applicazioni nell’industria alimentare, sino ad ideare il primo farinografo nel 1928.

Da allora questa importante macchina da laboratorio è stata sottoposta a vari aggiornamenti che le hanno consentito di interfacciarsi con computer per l’acquisizione ed elaborazione dei dati. L’evoluzione informatica, tuttavia, non ha alterato il collaudato principio di funzionamento di questa macchina, che ci apprestiamo a descrivere nel seguito di questo articolo.

 

Come funziona il farinografo di Brabender

Il farinografo di Brabender è costituito dalle seguenti componenti essenziali:

  1. Una impastatrice in acciaio inossidabile al cui interno ruotano in direzioni opposte due pale a forma di zeta, alla velocità di 63 giri al minuto, mantenuta alla temperatura costante di 30°C.
  2. Un dinamometro, che registra il momento torcente necessario per impastare la farina e trasmette questo dato, mediante un sistema costituito da uno smorzatore viscoso e da leve, ad un trasduttore che a sua volta invia le informazioni ad un computer.
  3. Un sistema di registrazione, un tempo su rullo cartaceo, ora su supporto informatico, che registra lo sforzo di impastamento in funzione del tempo.
  4. Una buretta di dosaggio dell’acqua.
  5. Un bagno termostatico, costituito da una vasca contenente acqua, con un agitatore ed una resistenza, in grado di mantenere l’acqua di condizionamento alla temperatura costante di 30°C.
Figura 1. Le cinque componenti del nostro farinografo.

 

Questo strumento misura la resistenza di un impasto alle sollecitazioni meccaniche che caratterizzano tutte le fasi di impastamento. Nel corso della prova, infatti, si misura, in condizioni prestabilite e a temperatura controllata, il momento torcente necessario per impastare acqua e farina. Gli esiti della prova vengono registrati su un diagramma sul cui asse verticale viene registrato lo sforzo, espresso in UF (Unità Farinografiche), in funzione del tempo di impastamento che viene riportato sull’asse orizzontale.

Vediamo ora nel dettaglio le varie fasi di questa importante prova di laboratorio.

Figura 2. Dettaglio dell’impastatrice del farinografo.

 

Come si conduce la prova

Come abbiamo appena accennato, la prova del farinografo consiste nell’eseguire un impasto in condizioni standard al fine di stabilirne le caratteristiche in modo oggettivo e ripetibile.

Prima di descrivere le varie fasi della prova, è bene precisare che questa analisi si basa sulla misura della resistenza che l’impasto oppone alla rotazione delle pale dell’impastatrice. Questa grandezza è espressa in UF (Unità Farinografiche), una unità di misura empirica, al cui valore di 500 UF corrisponde la consistenza ottimale di un impasto.

Il metodo di analisi è il seguente:

  1. Si inseriscono 300 g di farina nell’impastatrice (1)
  2. Si aziona l’impastatrice per un minuto
  3. Si cala l’acqua servendosi della buretta (4) e, mediante una spatola, si concentra l’impasto nella parte centrale dell’impastatrice.
  4. Si registra la curava farinografica.

Il punto 3 rappresenta la fase più importante della prova, infatti l’acqua deve essere dosata facendo in modo che il picco della linea di centro banda si collochi sulla linea delle 500 UF, valore che, come detto in precedenza, rappresenta la consistenza ottimale dell’impasto. Se questa fondamentale condizione non dovesse essere verificata, la prova deve essere interrotta e ripetuta, correggendo la quantità di acqua in base alle indicazioni fornite dallo strumento.

L’immagine sottostante rappresenta un farinogramma, ossia l’esito della prova compiuta dal farinografo, sul quale sono stati evidenziati gli elementi chiave.

Figura 3. Esempio di farinogramma con evidenziati gli elementi chiave.

 

I risultati che si ottengono con il farinografo di Brabender

Mano a mano che ci addentriamo nella descrizione del farinografo è sempre più chiaro che questa prova è finalizzata a caratterizzare il comportamento di una farina nella fase di impasto ed i principali risultati che possiamo ottenere costituiscono preziose indicazioni per i tecnici dell’arte bianca.

Infatti, grazie a questa prova, possiamo capire quali sono i tempi ottimali di impasto, determinare l’idonea idratazione e, indirettamente, rilevare informazioni sui corretti tempi di lievitazione.

Vediamo ora quali sono i principali risultati della prova e come si interpretano.

1. L’assorbimento di una farina

Nella descrizione del metodo di prova abbiamo precisato che per effettuare l’analisi del farinografo si deve in primo luogo impastare la farina aggiungendo acqua fino a quando il picco della linea di centro banda raggiunge la consistenza di 500 UF, con una piccola tolleranza. Sono infatti considerate valide tutte le prove in cui il picco di centro banda arriva tra 485 e 520 UF: se il picco dovesse cadere al di sotto di questo intervallo (impasto troppo molle), si dovrà ripetere la prova togliendo la percentuale d’acqua indicata dallo strumento se, al contrario il picco dovesse posizionarsi al di sopra di 520 UF (impasto troppo tenace), si dovrà ripetere la prova aumentando l’idratazione.

Ebbene, la quantità d’acqua che caratterizza una prova corretta rappresenta l’assorbimento, espresso in percentuale sul peso della farina. Il valore così determinato dipende essenzialmente dalla qualità e dalla quantità del glutine presente, oltre che dall’umidità della farina di partenza (farine più secche assorbono più acqua). Visto che uno degli obiettivi del farinografo è caratterizzare le farine in senso assoluto, inserendo come input l’umidità della farina, rilevabile con una termo-bilancia, il farinografo è in grado di elaborare il dato dell’assorbimento normalizzando il risultato al 14% di umidità: così facendo è possibile confrontare in modo paritetico farine aventi diverse umidità.

Questo approccio è diametralmente opposto a quanto abbiamo descritto per la prova dell’alveografo, in cui la quantità di acqua viene determinata soltanto in funzione dell’umidità della farina, senza prendere in esame l’influenza del glutine.

2. Il tempo di sviluppo di una farina

Rappresenta il tempo, espresso in minuti e decimi di minuto, necessario affinché il picco della linea di centro banda raggiunga la consistenza ottimale, come descritto nel corso del precedente paragrafo. Come si può vedere nell’immagine soprastante, sul farinogramma questo valore è rappresentato dal tempo letto sull’asse orizzontale in corrispondenza del picco.

Possiamo dire che la consistenza ottimale dell’impasto viene raggiunta quando la maglia glutinica ha avuto modo di formarsi correttamente in seguito all’aggiunta di acqua ed all’azione meccanica delle pale dell’impastatrice.

3. La stabilità di una farina

La stabilità di una farina è data dall’intervallo di tempo in cui l’impasto si mantiene alla consistenza ottimale, senza dimostrare significativi cedimenti. Sul farinogramma soprastante, questo valore, espresso in minuti e decimi di minuto, è rappresentato dall’intervallo di tempo durante il quale la traccia superiore della banda si mantiene sopra la linea corrispondente a 500 UF.

4. Il grado di rammollimento di una farina

Il grado di rammollimento, anch’esso misurato in UF, fornisce un’indicazione precisa di come il glutine si mantenga elastico e in forza durante le fasi di impasto. Infatti, mano a mano che si procede con l’impastamento, il glutine tende a snervarsi e la maglia che ha formato perde di consistenza.

Il farinografo può misurare questa perdita di consistenza in due momenti: a 10 minuti dall’inizio della prova, oppure 12 minuti dal raggiungimento del picco. La prima misura è più indicata a caratterizzare le farine con una stabilità bassa, mentre la seconda si presta maggiormente a caratterizzare le farine con stabilità più elevata. Per maggiore chiarezza, indichiamo sulla Figura 3 il significato grafico dei due gradi di rammollimento.

 

Guida al confronto di due diverse farine tramite il farinogramma

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Come si svolgeva la prova del farinografo prima della rivoluzione informatica

Gli strumenti di ultima generazione, grazie a sistemi di elaborazione integrati, sono in grado di stampare direttamente la curva del farinogramma, congiuntamente a tutti i valori che abbiamo appena descritto. Prima della rivoluzione informatica, al contrario, lo strumento era solamente in grado di disegnare la curva del farinogramma e spettava all’analista il compito di determinare i valori di interesse analizzando la curva con un righello ed appositi regoli calcolatori.

Come si svolgeva la prova del farinografo prima della rivoluzione informatica

 

Da cosa dipendono i risultati del farinografo?

Come è facile intuire da quanto abbiamo appena specificato, i valori ottenuti dal farinografo dipendono essenzialmente dalla qualità e dalla quantità del glutine naturalmente presente nella farina di grano tenero. Semplificando molto, possiamo dire che il glutine necessita di acqua ed azione meccanica per formarsi, quindi tanto più glutine sarà presente nella farina quanto superiore sarà l’assorbimento della stessa. Per questa ragione, trascurando l’influenza dell’amido, il primo risultato del farinografo, ossia l’assorbimento, ci da un’indicazione di quanto glutine sia presente nella farina.

Anche il tempo di sviluppo può essere interpretato in un’ottica simile poiché, come è intuitivo, maggiori quantitativi di glutine presenti nella farina necessitano di una maggiore azione meccanica per essere attivati. Si osserva che al crescere della quantità del glutine, infatti, il picco della linea di centro banda si sposta verso destra, evidenziando così un aumento del tempo di sviluppo.

Cos'è il glutine

Il glutine presente nella farina proviene dal grano. Più precisamente, nel grano tenero sono presenti due proteine che prendono il nome di gliadina e glutenina ed è solo quando la farina viene impastata con l’acqua che queste due proteine si avvicinano e si legano l’una con l’altra formando il glutine. Ogni varietà di grano tenero è caratterizzata da peculiari quantità di gliadina e glutenina. Per fare un esempio, una farina idonea per biscotti sarà ottenuta da un grano con poche proteine (gliadina e glutenina), mentre una farina per grandi lievitati proverrà da un grano ricco di proteine.

Cos'è il glutine

I successivi valori che possiamo ottenere con il farinografo si spingono verso l’analisi della qualità del glutine. La stabilità, ad esempio, misura il tempo durante il quale l’impasto si mantiene alla consistenza ottimale e sarà tanto più alta quanto più alta è l’elasticità del glutine. Lo stessa osservazione vale per il grado di rammollimento, che ci indica quanto velocemente si stia snervando l’impasto. In questo caso, quanto migliore sarà la qualità del glutine, tanto più la linea di centro banda si manterrà vicina alla linea corrispondente a 500 UF, ed il grado di rammollimento sarà basso. Al contrario, ad una bassa qualità del glutine equivalgono repentine perdite di consistenza dell’impasto, testimoniate da alti valori di grado di rammollimento.

Come abbiamo fatto nel nostro precedente articolo sul W, nella seguente tabella mettiamo in correlazione la percentuale di proteine della farina (costituite per la maggior parte dal glutine), i principali valori ottenuti dal farinografo, ossia l’assorbimento e la stabilità, e alcuni esempi d’uso della farina.

 

L’interpretazione dei risultati del farinografo

Nei paragrafi precedenti abbiamo descritto il metodo di prova ed i principali risultati che possiamo ottenere con il farinografo di Brabender, ed ora ci addentreremo nel descrivere i risvolti pratici di questa importante prova. Inoltre forniremo delle importanti linee guida da seguire per scegliere la migliore farina professionale a seconda dell’uso che se ne vuole fare.

Assorbimento e idratazione della farina

Uno dei punti di forza del farinografo di Brabender è fornire un’informazione diretta relativamente al valore dell’assorbimento, che invece non viene considerato dall’Alveografo di Chopin. Tuttavia va fatta un’importante precisazione: questo valore non va confuso con la quantità di acqua da utilizzare nelle ricette, perchè in effetti rappresenta il valore di assorbimento tollerato dalla farina per ottenere un impasto di consistenza ottimale, ossia 500 UF.

Il video seguente, oltre a mostrare le modalità di conduzione della prova, fornisce un’idea delle diverse consistenze che assume l’impasto durante le fasi: da quella più compatta, in corrispondenza delle 500 UF, subito dopo il raggiungimento del tempo di sviluppo, fino a quella ancora tenace ma leggermente collosa quando, al termine del test, l’impasto è uscito dal range della propria stabilità.

 

Confrontando il risultato appena mostrato con le consistenze tipiche degli impasti dell’arte bianca, si possono notare differenze evidenti. Ad esempio, l’impasto del pane ciabatta risulta molto meno compatto poiché richiede un’idratazione attorno al 70-75% e per questo ha bisogno di farine con assorbimento elevato. L’impasto di un pane a pasta dura, invece, prevede un’idratazione anche inferiore a 50%, infatti sarà simile a quello del video in corrispondenza dei 500 UF e richiederà farine dal basso assorbimento. Una scelta sbagliata ci porterebbe ad impasti troppo collosi e non lavorabili, oppure troppo rigidi e facili a strapparsi.

Possiamo quindi fornire le due seguenti indicazioni di massima:

  • Per ricette ad alta idratazione, come ad esempio il pane ciabatta o la pizza in teglia alla romana, dove le idratazioni salgano sopra al 70%, è bene preferire farine con assorbimento superiore a 56,0%;
  • Per ricette con bassa idratazione, come nel caso del pane di pasta dura, dei cracker, o dei grissini, si devono preferire farine con assorbimento al di sotto del 54,5%.

Stabilità e tempi di impasto

Come abbiamo già affermato, il parametro della stabilità ci dice per quanto tempo un impasto mantiene costante la propria consistenza. In pratica, la prova del farinografo è assimilabile a quelle che in ingegneria si chiamano prove a fatica, in cui i materiali vengono sottoposti a carichi variabili, inferiori a quelli di rottura, per un elevato numero di cicli. Così nel caso del farinografo: il carico ciclico ad opera dell’impastatrice incontra la resistenza del materiale, ossia dell’impasto. Gli impasti più elastici e resistenti sopporteranno un maggior numero di cicli, mentre gli impasti più rigidi e fragili, si snerveranno prima. Per questo dovremo preferire farine dall’alto indice di stabilità per tutte le lavorazioni lunghe e stressanti, mentre dovremo scegliere farine dal basso indice di stabilità per le lavorazioni più brevi e leggere.

Questa osservazione ha ancora maggior valore se si considera che ad alti valori di stabilità si accompagnano quasi sempre alti tempi di sviluppo. Coerentemente a quanto appena affermato, si intuisce che se usassimo una farina con alta stabilità per una lavorazione in cui la fase di impasto è molto breve, rischieremmo addirittura di non formare adeguatamente il glutine.

In linea di massima possiamo fornire le seguenti linee guida:

  • Per ricette con lunghi tempi di impastamento (ad esempio per i grandi lievitati) o impasti in cui l’impastatrice ruota ad alta velocità (impasti ad altissima idratazione) è bene scegliere farine con indice di stabilità superiore a 18,0 minuti;
  • Per impasti veloci e poco idratati, come la pasta frolla, sono preferibili farine con indice di stabilità inferiore a 2,0 minuti.

Stabilità e tempi di lievitazione

Sebbene il farinografo non effettui una misura che correli i tempi di lievitazione con la stabilità, in base alle osservazioni che abbiamo fatto nel paragrafo precedente possiamo affermare che impasti con una maglia glutinica resistente nel tempo, ossia caratterizzati da un elevato indice di stabilità, sono in grado di sopportare lunghe o lunghissime lievitazioni, mentre impasti con un basso indice di stabilità si addicono alle brevi lievitazioni.

Volendo dare un’indicazione anche in questo frangente, possiamo dire che:

  • Per ricette a lunghe lievitazioni, come ad esempio il panettone, è bene preferire farine con indice di stabilità superiore a 18 minuti;
  • Per metodi indiretti e tempi di lievitazione intermedi, inferiori alle 24 ore, si possono impiegare con soddisfazione farine con indice di stabilità attorno a 10 – 12 minuti;
  • Per metodi diretti e tempi di lievitazione rapidi si devono preferire farine con stabilità inferiore a 8 minuti.

Per un quadro più completo relativamente ai tempi di lievitazione è bene prendere in considerazione anche le informazioni derivanti da un altro importante strumento presente nel laboratorio del mulino: il Falling Number.

 

E gli impasti integrali…

Nel nostro precedente articolo sull’alveografo, avevamo precisato l’impossibilità di ottenere con quella prova indicazioni utili a caratterizzare gli impasti integrali. Il farinografo di Brabender non presenta questo limite, poichè tratta gli impasti integrali esattamente al pari degli impasti eseguiti con farine tipo “0” o “00”. Le indicazioni fornite da questa prova, quando applicata agli impasti integrali, ossia quelli ottenuti da farine con un alto tenore di ceneri, sono molto utili per capire la conduzione ottimale di questi impasti che spesso si dimostrano insidiosi e complessi per la maggior parte degli operatori del settore. Per questa ragione, nel corso dei prossimi articoli dedicheremo al tema ulteriori approfondimenti.

 

Il farinografo e la lavorabilità degli impasti

Possiamo distinguere essenzialmente tre fasi nella gestione di un impasto di un prodotto da forno

  • Impastamento
  • Lievitazione
  • Formatura

In base alle informazioni che abbiamo fornito in questo articolo, è chiaro che il farinografo si concentra sull’analisi della fase di impastamento e fornisce qualche suggerimento indiretto sulla fase della lievitazione.

Per completare le informazioni relative al momento della lievitazione e per acquisire quelle inerenti la fase di formatura è quindi necessario fare ricorso ad un altro strumento di laboratorio, sempre ideato da Brabender, e denominato estensografo, che vi descriveremo in uno dei nostri prossimi articoli.

 

Ricapitolando

In questo articolo abbiamo proseguito il viaggio alla scoperta del laboratorio, cominciato con il nostro precedente approfondimento relativo al W delle farine, e per questa nuova tappa siamo partiti proprio da alcuni temi che erano rimasti in sospeso.

Abbiamo descritto il metodo di analisi ed i principali risultati che possiamo ottenere con la prova del farinografo, ossia l’assorbimento, il tempo di sviluppo, la stabilità e il grado di rammollimento, ed abbiamo affermato che:

  • I risultati dell’analisi dipendono essenzialmente dalla qualità e dalla quantità del glutine;
  • Abbiamo individuato nell’assorbimento e nella stabilità i due risultati più importanti della prova ed abbiamo fornito una correlazione che lega questi valori al tenore proteico della farina;
  • Abbiamo fornito importanti linee guida per scegliere la corretta farina in base all’idratazione dell’impasto, ai tempi di impastamento ed ai tempi di lievitazione;
  • Abbiamo precisato che il farinografo può essere usato anche per caratterizzare farine integrali;
  • Infine, abbiamo sottolineato che il farinografo non fornisce indicazioni in merito alla lavorabilità dell’impasto dopo la lievitazione, lasciando questo compito ad un altro strumento da laboratorio, sempre ideato da Brabender.

Partirà proprio da quest’ultimo punto la prossima tappa del nostro viaggio alla scoperta del laboratorio e dei valori reologici delle farine.